Rivivere la storia di Capo Comino, mi ha fatto vedere con occhi diversi molte cose.
Ho come l’impressione che adesso sia tutto più vicino, più chiaro, che le strade e le case parlino una lingua diversa. Non mi stupisce che percorrendo la via dei capannoni solo poche ore fa, abbia sentito il bisogno di fermarmi, come se in quella piccola sosta ci fosse un omaggio al passato.
E in effetti, quei locali rappresentano l’impronta della riforma agraria del 1950, i primi passi della rivoluzione che ha investito Capo Comino quando nella piana non c’era niente. Tutto nasce con loro.
I moduli più piccoli erano di supporto ai dipendenti dell’ETFAS e utilizzati come cucina e alloggi. In attesa della propria abitazione, anche il capo azienda vi aveva dimorato, l’unico in questa fase ad essere accompagnato dalla famiglia. Nel capannone più grande invece, transitavano tutte le forniture inviate dall’Ente per la coltivazione dei campi, dai fertilizzanti alle piantine e sementi. Qui si custodivano gli arnesi degli operai, c’era lo spazio dell’officina per i mezzi impegnati nei campi, e fino alla costruzione della Chiesa si svolgevano in questo locale anche le funzioni religiose. Insomma, l’ossatura dell’insediamento è qui dentro.
Il progetto di colonizzazione prevedeva diversi servizi per la comunità ed è proprio in quest’area che si formerà il nucleo pulsante dell’azienda: “la borgata”. In origine, l’accesso dall’Orientale Sarda era collocato a qualche decina di metri dalla posizione attuale, esattamente sull’apice del dosso.
Chi entrava nella borgata, quindi, incontrava subito i capannoni e da qui, seguendo un tracciato circolare, poteva raggiungere gli altri locali dell’ETFAS.
L’Ente aveva investito molto nella scolarizzazione delle colonie e all’interno del perimetro si potevano trovare diversi livelli di istruzione, persino la scuola dell’infanzia in tempi più recenti. Ciò che veniva trascurato però, era l’aspetto motivazionale. Così i bambini andavano a scuola senza aspettative di crescita e senza poter dedicare molto tempo alla formazione, non potendosi sottrarre alle faccende che ogni giorno li impegnavano.
Quanto dispiacere provocasse ai genitori questo loro sacrificio alcuni lo mostravano, altri meno, ma era il tempo del lavoro e ognuno doveva fare la sua parte. Il locale adibito a scuola dell’obbligo occupava uno spazio centrale nella borgata e di mattina ospitava due pluriclassi elementari. Una quarantina di bambini, nei primi anni.
Nelle ore serali invece, a fare lezione erano i ragazzi delle medie o della precedente scuola di avviamento, abolita con la riforma del ’62.
Tutti raggiungevano la scuola a piedi, alcuni percorrendo diversi chilometri senza indossare scarpe adeguate e in inverno, durante il tragitto, si dovevano raccogliere più rametti possibili per alimentare la stufa e riscaldare l’aula. All’occorrenza, la ricerca continuava all’esterno con la maestra e la gioia di essere liberi faceva dimenticare di sentire freddo.
Lo stabile scambiato spesso per casa Cantoniera, all’imbocco dell’incrocio attuale, era nato come caserma militare ma non venne mai utilizzato per questo scopo e quando alla fine degli anni 60 gli spazi furono riconvertiti, a Capo Comino arrivò la scuola professionale di Agraria.
Qui conseguiranno il diploma decine di ragazzi provenienti da diversi comuni, anche lontani come Budoni e Orosei, e solo due tra i figli degli assegnatari riusciranno a concludere il ciclo di studi.
Insistere aveva dato i suoi piccoli frutti e se anche il valore di quel foglio rimaneva incompreso e inespresso, era nata comunque un’opportunità in più. Prima di passare alla POA, queste stanze ospiteranno anche le colonie estive e chissà che ai tanti siniscolesi passati per di qua, non abbia risvegliato ricordi d’altri tempi.
Il vero punto nevralgico della comunità era il centro sociale, a ridosso dell’attuale bar. Qui ci si riuniva per le convocazioni dell’Ente o tra le famiglie, per le decisioni importanti o nei momenti conviviali ma anche per questioni legate alla “cooperativa bestiame”, benché scollegata dalle attività dell’ETFAS. Era stata costituita da tutti gli assegnatari per dare forza ai propri allevamenti ma anche per garantirsi una certa protezione in caso di perdita degli animali. Quando accadeva era sempre un fatto grave. Così per ogni capo venuto a mancare, la cooperativa restituiva al socio una somma prestabilita che serviva per facilitare il nuovo acquisto e la carne veniva distribuita fra tutti. Partecipare era un grande sacrificio ma dimostrava il buon senso di chi viveva nella povertà e riconosceva quella altrui. All’interno del centro sociale c’era anche l’ambulatorio medico e una piccola farmacia. Le famiglie ricevevano assistenza almeno una volta alla settimana e la sensazione di essere dimenticati dal mondo in quei momenti un po’ si attenuava. Ci si affidava al medico per ogni cosa, dal mal di denti ai fastidi della gravidanza, alla debolezza dei bambini ma anche per salutare i parenti lontani, perché i contatti con il paese come gli spostamenti erano ridotti al minimo.
Mi fa sorridere parlare di trasporti pubblici perché la corriera passava al mattino e rientrava la sera, e la cosa nel tempo mi sembra pressoché invariata. Nell’edificio dell’attuale Bar, lo spaccio alimentare dell’ETFAS garantiva la disponibilità degli alimenti principali. Gli acquisti però, dovevano essere centellinati per cui la scelta a tavola non era granché. Per questa ragione, con una certa frequenza, gli adulti e spesso anche solo le donne, raggiungevano Santa Lucia a piedi o in bicicletta e qui si barattava ciò che si possedeva con il pescato fresco dei pescatori locali o con altri prodotti sempre diversi. Qualunque cosa fosse, frutta, verdure dell’orto, qualcuno ricorda le fave e i piselli, i sacchi avevano il loro peso e si arrivava a destinazione stremati. Al rientro la gioia dei bambini correva con loro mentre incuriositi scoprivano cosa avrebbero mangiato per cena e bastava questo per ripagare di ogni sforzo

Ho scritto le cose esattamente come mi sono state raccontate, inserendo momenti di vita quotidiana dentro ognuno dei locali della borgata. Ne manca uno di importante, quello che univa carattere e spiritualità: la Chiesa.
La prima pietra era stata posata agli inizi degli anni 60 e alla cerimonia aveva partecipato con grande coinvolgimento l’intera comunità.
A firmare il cartoncino finito nella malta erano stati il sacerdote, un dipendente ETFAS e alcuni assegnatari, tra adulti e bambini. Uno di questi si era rifiutato di firmare per la troppa vergogna, del resto essere protagonisti non faceva parte dell’educazione ricevuta e il coraggio di essere al centro dell’attenzione anche solo per un attimo era proprio mancato. C’è tanto in questo episodio della rigidità familiare di quel tempo.
La Chiesa fu dedicata alla Madonna di Stella Maris per la sua vicinanza al mare ma c’è anche un altro motivo e mi ha incuriosito moltissimo.
Il Presidente dell’ETFAS, tale Enzo Pampaloni, un fervente cattolico, aveva disposto che tutti gli insediamenti agricoli fossero devoti alla Madonna, la figura religiosa a cui affidarsi per avere protezione e prosperità. Nel 1954 aveva addirittura incaricato un artista sassarese perché creasse un manufatto raffigurante la “Madonna con bambino” da riprodurre in serie, proprio con l’intento di accostare il valore religioso con quello sociale. Così all’ingresso della borgata di Capo Comino come in ogni altra azienda dell’isola, si ergeva una lunga stele votiva di almeno tre metri di altezza e l’immagine della Madonna dell’ETFAS era incastonata tra le pietre insieme a una targa che diceva “Maria benedici i nostri campi”.
Purtroppo, non rimane niente di questo simbolo. Nessuna prova della sua presenza se non il basamento che mi mostrano in prossimità del capannone più grande, su cui pare si poggiasse. A testimoniare la devozione mariana degli insediamenti agricoli, c’era anche un quadro in terracotta che ogni famiglia teneva in casa. Riesco a recuperarlo e a fotografarlo, è bellissimo.
Oltre il tracciato circolare della borgata, oltre la Chiesa, iniziavano le case coloniche e la vista di alcune di loro si perdeva nei campi. Erano state progettate rispettando una precisa disposizione degli spazi interni, con le stesse dimensioni e numero di camere, stessi infissi e arredi. La stalla degli animali nasceva accanto alla casa e non c’era niente di strano vista l’importanza vitale del bestiame. Tra i tanti ricordi che ascolto, scelgo quello della prima sera in casa con la luce elettrica, una svolta dopo anni di candele e di buio. Allora tutti con il naso puntato alla lampadina, un po’ straniti, e la sensazione di aver raggiunto un altro livello di dignità.
Vorrei dire tantissime altre cose. Scrivere dei simulacri dedicati a San Giovanni incassati nelle facciate delle case, de su oloneddu e Santu Juanne o del cambio dei priori a Sant’Antonio, ma sono veramente in chiusura di questo incredibile viaggio nel passato.
Niente di quello che ho raccontato potrà mai avvicinarsi a ciò che in queste terre è stato vissuto, la fatica vista dall’alto è ben diversa da quella patita. Ma qualcosa di grande è successo davvero in questa piana e non ci sono rimpianti tra chi un tempo non aveva niente, se non la polvere nelle tasche. Tutti avrebbero scelto ancora Capo Comino e persino le sue restrizioni.
Tutti avrebbero scelto di rispondere ancora a quella chiamata che un giorno avrebbe stravolto loro la vita e mi piace pensare che in qualche modo, nelle strane vie del destino, siano state queste terre a scegliere gli uomini e le donne più forti.
Il mio lavoro è tutto dedicato a loro.
Intestatari:
Contu Antonio e Taras Maria
Piras Gaetano e Pau Maria Giuseppa
Piras Sebastiano e Cossu Giovanna
Cherchi Mario e Piredda Maria Antonia
Conteddu Antonio e Spanu Pasqualina
Truzzu Giovanni e Bomboi Mariangela
Congiu Salvatore e Melis Mariagrazia
Camboni Giovanni e Bomboi Rosaria
Sotgiu Giovanni e Cossu Angelina
Ruiu Efisio e Bua Antoniangela
Capra Giuseppe e Corrias Giuseppina
Dalu Giovanni e Cara Maria
Farris Giovanni e Camboni Pasqualina
Grecu Efisio e Piras Speranza
Carru Giovanni Antonio e Marras Andriana
Piredda Pasquale e Bellu Maria
Truzzu Domenico e Caggiu Maria
Dipendenti ETFAS:
Alfonso Costi, capo azienda
Josue Ligios, capo centro
Nino Durgoni, segretario amministrativo
Giovanni Mereu , perito zootecnico
Grazietta Manca, assistente sociale
Tore Murru,
Giuseppe Serra, vignaiolo
Giuseppe Pisanu, Gigi Poddie e Battani, trattoristi
Tziu Lovicu, per la sicurezza
Genni Piras




