L’importanza della scoperta di sé e delle proprie peculiarità nel perseguire un obiettivo.
Il talento è una bugia. E tutt’altro che piccola.
Chi legge, farebbe bene a far proprio questo concetto prima possibile, qualsiasi sia il percorso che intende intraprendere. Una falsità, con ogni probabilità tra quelle più imponenti che ci viene raccontata in un mondo quasi interamente governato dall’effimero. Esiste, invece, il genio, nella sua estrema rarità, ma si tratta di tutt’altra cosa e non è oggetto di questo scritto.
La capacità di migliorarsi, indipendentemente dal tempo necessario a farlo, può essere tutto fuorché un dono che ci viene fatto.
Nella maggior parte dei casi è in realtà il frutto di dedizione e perseveranza non lontane da ciò che definiamo fede e da innumerabili coincidenze che fanno parte dell’esistenza di ogni essere umano: l’ambiente di crescita, il contesto di vita, le interazioni.
Tentare di elencarle è un’azione tanto tediosa quanto irrealizzabile, specialmente alla luce del fatto che alcune di esse potrebbero risultare valide per alcuni, completamente inutili ad altri.
L’alchimia degli elementi che chiamiamo esperienza – intesa come capacità di distillare nuove abilità nel portare a termine un’azione e non solo dal tempo trascorso a compierla – è insondabile.
Non abbiamo, infine, modo di definire a priori quale sia una esperienza utile o non utile per i motivi più disparati tra i quali spicca, ironicamente, quello che spesso vede le esperienze in apparenza negative come più determinanti in un percorso conoscitivo.
In luogo di atto, Aristotele usa molto saggiamente abitudine per definire l’eccellenza.
Ma pur riferendosi ai grandi filosofi della storia, occorre prendere le distanze dal pensare che per ottenere un qualsivoglia risultato esistano delle procedure o comportamenti da seguire prestabiliti, una ricetta per così dire, che semplifichi i passi da compiere o, peggio, che consenta di raggiungerlo più in fretta.
E se andassimo a domandare agli artisti di ogni tempo e luogo, che più di altri hanno saputo leggere la contemporaneità per proiettare il loro operato nel futuro anche più remoto, scopriremmo che non esiste alcun manuale, che le loro vite ed i loro sacrifici appartengono unicamente alla loro esistenza ed al microcosmo che hanno creato e che per quanto possano motivare alla ricerca chi ha amato loro o la loro arte, non vi è modo di decontestualizzarli.
Unici ed irripetibili, come si dice.

E allora?
Dove le nostre capacità sono celate ed in quale modo abbiamo modo di portarle alla luce? Non vi è, molto semplicemente, alcuna risposta.
Per quello che può valere, posso solo portare all’attenzione di chi legge la direzione di alcune delle numerose strade che ho calcato, che mi hanno condotto insieme a fattori di cui non ho mai avuto il controllo, al raggiungimento di determinati obiettivi:
essere in grado di osservarci ad uno specchio immaginario e liberi da ogni regola, limite e costrizione sociale chiederci cosa vogliamo fare e cosa siamo disposti a sacrificare per poterlo fare. Scoprire se dentro di noi il caos, come direbbe Nietzsche, è davvero in grado di partorire una stella danzante.
È tutt’altro che una questione semplice, beninteso.
Si tratta di domande alle quali dare anche una sola risposta potrebbe costare molto, moltissimo tempo; abbracciare il fallimento in tutte le sue sfaccettature, spremerne ogni insegnamento, considerarlo sempre un possibile risultato, senza averne paura. Mai rinunciare a muovere un passo per timore di prendere il percorso sbagliato, mai rinchiudersi nel confortevole conosciuto o nella routine. In un percorso di crescita degno di essere definito tale il numero di fallimenti sovrasta enormemente quello dei risultati raggiunti; prendere atto che il tempo che abbiamo a disposizione è il dono più grande che ci è stato fatto e che ogni giorno può essere letto come il primo del resto della nostra esistenza.
Il tempo che ci è stato concesso ha valore inestimabile e mentre qualsiasi cosa può essere recuperata o ricostruita, il tempo non ci verrà mai restituito; nel nostro inviolabile ed intimo profondo, arriveremo ad un punto in cui saremo perfettamente in grado di stabilire se ciò a cui abbiamo mirato è davvero raggiungibile, indipendentemente dal rumore di fondo delle difficoltà che non faranno che tentare di farci smarrire quel fil-rouge che nessuno vede e che sappiamo, fortemente ed inspiegabilmente, porta all’obiettivo finale.
Da quel momento dobbiamo essere disposti a operare in assoluta solitudine, anche per lungo tempo, sollevare argini inviolabili di perseveranza, ostinazione e sacrificio; essere pronti al cambiamento, a modificare, a radere al suolo e ricominciare in qualsiasi punto ci troviamo del percorso intrapreso. Considerare la fatica come un elemento necessario ed accettare l’idea che ciò che è stato costruito non è intoccabile.
Se davvero esiste una peculiarità umana incisa sull’elica del DNA che può essere di aiuto in un percorso verso un obiettivo, questa è la curiosità, il senso di perenne insazietà di conoscenza, continua insoddisfazione di ciò che abbiamo appreso, la brama di scoprire qualcosa di nuovo perfino di ciò che già da tempo fa parte del nostro background, l’esigenza di osservare tutto e sempre dal proverbiale prisma.
E accanto alla curiosità, il conseguente puro senso di stupore ed appagamento nello scoprire che come entità pensanti non dobbiamo sottostare ad alcun limite se non a quelli che ci imponiamo.
Cristiano Porqueddu, chitarrista e compositore