Nostalgia canaglia

Tutti conosciamo la parola “Saudade”, spesso tradotta erroneamente come nostalgia. In realtà è un sentimento più profondo, un desiderio radicato per qualcosa o qualcuno di lontano o perduto.

I brasiliani la provano per la loro terra, ma anche noi sardi possiamo comprendere fino in fondo il valore di questo sentimento.
In sardo diciamo “disizu” per indicare desiderio o mancanza. Quando la nostra terra ci manca diciamo che “nos pranghet’ su coro” – ci piange il cuore.
È un dolore interiore che ci consuma. L’unica cura è tornare a casa.

Chi, come me, è emigrato dalla Sardegna, conosce bene questa sofferenza. All’inizio la nostalgia è lieve e con il tempo diventa un dolore, sempre più forte, irresistibile, come lo è il richiamo della nostra terra.
Vivo in “continente” da 33 anni. Per me era tutto nuovo. Conoscere nuove persone e vagare in enormi città, era tutto bellissimo per un ventenne. Ho cambiato il mio modo di vivere. Piano piano sono diventato un cittadino, perdendo parte della mia sardità.
La mia famiglia, i miei amici, la mia casa, mi sono sempre mancati. Rientrare in paese per le vacanze estive o per le feste comandate era un ottimo palliativo.

La solitudine è libertà. Capo Comino. Foto di Gianni Andrea Morittu

Il sardo emigrato è figlio di una terra che non lascia andare. Un legame viscerale che va oltre la semplice attinenza geografica. Un vincolo ancestrale che affonda le sue radici nella memoria, nell’identità e nel senso di appartenenza.
Siamo incatenati alla nostra terra.

Il buon sardo è geloso della propria terra e soffre se viene invasa, sfruttata o depredata.
Dopo anni, arrivi a un’età in cui realizzi che hai solo sprecato tempo. Il tempo che non hai dedicato a te e alla tua terra. Il tempo in cui hai lasciato che il legame si affievolisse, che la tua sardità andasse in letargo.

Fortunatamente, la madre terra richiama i suoi figli.
La tua nostalgia e il tuo desiderio arrivano al culmine della sopportazione. Il tuo classico colorito caucasico prende dei riflessi grigi.
La luce dei tuoi occhi si affievolisce. Devi mollare tutto, scappare, rifugiarti tra le braccia della tua terra. La smania ti prende e non vedi l’ora di raggiungerla. La coda per salire sul traghetto ti snerva. La traversata che prima facevi come se niente fosse, ora ti sembra eterna.

Veduta di Tavolara. Foto di Gianni Andrea Morittu

Il tempo sembra fermarsi. Per scendere dalla nave ti butteresti dal ponte, ma sei prigioniero dentro quel maledetto garage e chissà perché… sei sempre tra gli ultimi a scendere. Ma finalmente le ruote della tua auto si appoggiano sulla terraferma del molo di Olbia. Tiri un sospiro di sollievo e la gioia di vivere si rimpossessa di te.
Sorridi a tutti e saluti con enfasi, i finanzieri e gli addetti della dogana che ti guardano di traverso, indecisi se fermarti per un controllo o ricambiare il saluto.

Ti gusti un buon caffè. Sei in Sardegna e la sua linfa vitale sta di nuovo circolando nelle tue vene. Il sole della mattina ti scalda e cancella il grigiume della tua pelle. Stai riprendendo il tuo colorito.
Scegli di non imboccare la 131-bis ma vuoi goderti il tragitto. Percorri la strada più lenta e tortuosa e ti godi i suoi panorami.

Dune a Capo Comino e coltivazioni in secondo piano. Foto di Gianni Andrea Morittu

È primavera, i fiori ornano l’asfalto su entrambi i lati. Ti fermi ogni tanto per sentirne i profumi. Lungo la strada, lentischio, mirto e ginepro si alternano a oleandri, lecci e corbezzoli. Ma non vai direttamente a casa.

Devi prima salutare il mare. Una breve passeggiata sulla bianchissima spiaggia.
Respiri a fondo il profumo della salsedine e della posidonia, l’elicriso ti solletica le narici e ti lasci inebriare dall’aroma spumeggiante della brezza marina.
Ti senti rigenerare.

Ti abbandoni poi agli abbracci dei familiari e degli amici. Finalmente una piacevole sensazione di benessere invade il tuo organismo.
Apprezzi ogni istante che trascorri nella tua terra.
Vuoi viverla intensamente.
La esplori, vuoi conoscerne ogni angolo. Cammini in natura, nelle spiagge, sulle colline e sulle montagne. Ricarichi le tue batterie perché sai che tra qualche giorno dovrai ripartire per ritornare al lavoro.
Ma ripartirai carico perché dovrai resistere fino al prossimo attacco di saudade.
Torni poi in continente, alla vita di tutti i giorni, e ti capita di ripensare alla tua terra, a quanto ti manca. A quanto ti mancano anche le cose noiose, come il vento.
E così butti giù un pensiero. Ed è questo che voglio condividere con voi.

Maestrale a Capo Comino
Fischiando, il maestrale violenta le dune di sabbia adiacenti la spiaggia.
Con violenza le onde si infrangono sulla battigia. Le tracce, i solchi, le orme vengono spazzate via.

I ginepri si piegano alla forza di Eolo e si lasciamo pettinare. I vecchi eucaliptus, memori di passate tempeste, si proteggono e volgono le loro fronde verso sud-est.
La posidonia spiaggiata si lascia rapire dal moto ondoso. Tornerà nel mare e da esso si farà cullare.
Questa notte burrascosa lascerà i suoi segni e domani non sarà più come ieri.


Nuovi solchi segneranno le possenti dune, nuove orme verranno impresse dai gabbiani, nuove posidonie si adageranno sul bagnasciuga, nuova linfa scorrerà sui nodosi ginepri, nuove ombre proietteranno i maestosi eucaliptus e i gigli di mare animeranno questa nuova alba, scaldati da un timido sole che sorge da est.


La bufera è passata, la spiaggia deserta appare diversa da quella che aveva accompagnato il tramonto del giorno prima.

È la forza del vento, è la prerogativa del maestrale, arriva, sibila, gioca, pettina, spazza via i segni del passato e così come è venuto, improvviso, ritorna verso le terre di nord-ovest, lasciandoci nuovi paesaggi, un aria pulita e fresca, un cielo sgombro di nuvole e una armoniosa risacca, in questo nuovo giorno sulla nostra amata Terra.

Gianni Andrea Morittu