Manuel Mele: un siniscolese tra i ghiacci
Classe 1996, Manuel Mele è il tecnico siniscolese che ha affrontato il gelo polare nell’ambito del programma Nazionale di ricerca in Antartide (PNRA). Di madrelingua tedesca, è stato selezionato e formato dall’Unità Tecnica Antartide dell’ENEA, l’Ente attuatore della programmazione delle attività di ricerca nel continente antartico e inserito nel personale tecnico-logistico delle spedizioni estive.
Ad appena un mese dalla conclusione della sua terza spedizione, Manuel si racconta. La curiosità di scoprire attraverso i suoi occhi quello che accade in uno degli angoli più remoti della terra è tanta.
Com’è nata quest’avventura, Manuel?
È stato un amico a segnalarmi questa possibilità e io ho approfondito senza aspettative, a dire il vero. Non pensavo di farcela, superare le selezioni non è facile. Si valutano esperienze professionali e diversi aspetti psicofisici, è un’esperienza che causa molto stress di adattamento. Le condizioni climatiche sono estremamente dure e c’è da affrontare uno stato di isolamento che può anche spaventare, insomma, serve molto autocontrollo e una forte motivazione.
Il viaggio per arrivare in Antartide parte da Olbia?
Per me sì. Poi da Roma a Dubai e di nuovo in volo verso Sydney, in Australia. Altro giro per raggiungere la Nuova Zelanda, dove ci vengono consegnati i borsoni antartici con l’equipaggiamento. Le ultime 8 ore di viaggio si passano dentro la pancia di un volo speciale che ci porta alla Stazione Italiana Mario Zucchelli, sulla costa antartica. Si arriva stremati ma non è finità qui perché la destinazione è Concordia, a 3200 metri sopra il livello del mare. Con un velivolo bimotore, si riparte entro uno o due giorni.

L’ultima a cui hai preso parte è la 40° spedizione italiana in Antartide.
Esatto. È iniziata in ottobre 2024 ed è tutt’ora in corso. La fase a cui ho partecipato anche io, si è conclusa a metà febbraio con la fine dell’estate antartica, un periodo di sole continuo senza mai il tramonto. È il momento di maggiore operatività nella base perché malgrado si raggiungano i -40°, le temperature sono le più miti dell’anno e si può sostare all’esterno più ore consecutive.
Gli invernali, 13 in quest’ultima missione, nei quattro mesi della notte polare toccheranno i -80° e saranno completamente isolati fino al prossimo ottobre. Intorno ai -50° il carburante ghiaccia e questo vuol dire lasciare a terra velivoli e mezzi cingolati.
Tempo fa, una videochiamata tra gli invernali di Concordia e gli astronauti della Stazione Spaziale Europea in orbita, ha messo in comunicazione gli uomini più isolati del pianeta.
Per sopravvivere a certe condizioni bisogna essere preparati.
Il momento più difficile è quello dell’arrivo alla base, il corpo ha bisogno di giorni per abituarsi all’aria rarefatta e al gelo. Dentro la Stazione si vivono condizioni più o meno normali ma per uscire la vestizione è un processo a multistrato, con particolari indumenti che fornisce la spedizione. A ogni uscita bisogna munirsi di ricetrasmittente e segnalare la posizione in sala radio, ci sono regole precise e non sono ammesse distrazioni: qui si rischia l’assideramento in pochi minuti.
Gli spaventosi venti catabatici che si registrano in Antartide sono contenuti a Concordia, trovandosi in quota, ma quando soffiano anche qui, i pericoli aumentano. Il presidio medico non è attrezzato per le situazioni gravi e siamo consapevoli che, in caso di pericolo di vita, il soccorso non può essere immediato. Ecco perché le visite mediche durante le selezioni sono molto rigide.
Come diventa abitabile una stazione scientifica dispersa tra i ghiacci?
Concordia è alimentata da diversi gruppi elettrogeni ben custoditi, bisogna isolarli dalle temperature esterne, mentre l’acqua si ricava sciogliendo il ghiaccio. È un campo molto esteso e in prossimità delle torri centrali, dove si trovano gli alloggi e le stanze per la ricerca, ci sono altri moduli esterni, più piccoli, utilizzati per ricovero attrezzi o depositi.
Vengono montate diverse tende da campo e solo in estate, a qualche centinaio di metri, nasce un campo estivo per gli addetti che si integrano alla spedizione. Si crea un ambiente attivo, a volte persino rumoroso. Uomini e donne indaffarati che per cena si ritrovano tutti insieme, nel salone principale. Qui si mangia, si fa festa nelle ricorrenze, si cerca di creare un po’ di normalità in un luogo che non è affatto normale, pensando al nulla che ti circonda. L’amicizia e la fiducia si fortificano in fretta, c’è bisogno l’uno dell’altro, e quando arriva lo sconforto o la mancanza della famiglia per fortuna ci sono loro.
Parlami dei rifornimenti di alimenti e dei materiali che servono.
Tutto arriva con la traversa, una carovana di trattori cingolati, slitte e un modulo abitativo, tutti legati gli uni agli altri. Percorre 1200 km in quindici giorni per raggiungere Concordia, altrettanti per tornare in costa, nella base italo-francese di Cap Prud’Homme. Credo sia una delle attività più dure. Le bufere a volte ostacolano la corsa e bisogna faticare per avanzare. Durante la spedizione si contano due, massimo tre traverse e quando arrivano tutta la base è in movimento. Consegnano viveri e materiali per un anno intero, tenuto conto del fermo invernale, insieme a quello che non può essere trasportato via aerea. Poi ripartono cariche di rifiuti o attrezzature dismesse.
Immagino sia tutto organizzato per squadre, con compiti precisi.
C’è un programma di lavoro da rispettare, certo. La maggior parte del personale si occupa di logistica e questioni tecniche e io faccio parte di questa sezione. Elettricisti, operai specializzati, meccanici, lo staff della cucina. Una parte del gruppo affianca anche i ricercatori negli esperimenti scientifici che qui si fanno, direi a tutto tondo.
Dall’osservatorio della Concordia si ricavano informazioni importanti per l’astrologia o l’astrofisica. La Stazione poi, si trova sopra uno strato di ghiaccio millenario quindi si scava, fino a 3km in alcuni punti, e si analizzano i prelievi per ricostruire i cambiamenti ambientali del passato. Si monitorano i fenomeni sismici e si scompone l’aria, studiando l’inquinamento globale.
Io faccio molte attività di supporto all’esterno e in queste tre spedizioni mi sono avventurato dove non avrei mai immaginato: la caverna di ghiaccio dal colore turchese usata per la conservazione dei carotaggi è un luogo magico. Qui dentro c’è la storia del pianeta e io l’ho vista, l’ho toccata, ne ho fatto parte per un attimo, non potrò mai scordarla.
Da questo luogo sperduto si può capire tanto dell’evoluzione della terra e sulla reazione del corpo umano a certe condizioni, le più vicine a quelle che si vivono nello spazio. Ecco perché a Concordia, si possono incontrare astronauti o personale dell’Agenzia Spaziale Europea.
Hai parlato di autocontrollo ma forse bisogna essere avventurieri. Tu ami la natura, sei curioso, un appassionato di motocross, quanto aiuta?
Li serve tutto, si è messi alla prova continuamente, e rientrare a casa è sempre un traguardo. Ma quel bianco tutto intorno rimane dentro, penetra nelle ossa più del gelo, ci penso spesso. È di una immensità disarmante e fa sentire piccoli. Puoi descrivere quel contatto estremo con la natura in mille modi differenti ma non sarà mai abbastanza: la potenza di quel posto è un’altra cosa.
Hai portato la nostra città in un pianeta che sembra diverso, grazie.
E’ stato un orgoglio scrivere Siniscola e piantare quella freccia nel ghiaccio.
Genni Piras








