Ritornare, ricordare, raccontare

Il Giorno della Memoria27 gennaio 2025

Come tutti sappiamo, la giornata di oggi ci ricorda le atrocità del nazifascismo e i milioni di vittime di una ideologia che aveva calpestato i principi fondamentali del nostro vivere.
La nostra stessa umanità, la nostra dimensione di uomini è stata messa in forse non potendo e non volendo credere che un sistema politico potesse scientificamente condannare ad una morte atroce milioni di persone.
Non poteva essere vero che campi di concentramento organizzati solo con la funzione di uno sterminio, con camerate enormi piene di larve umane che erano l’anticamera delle camere a gas fossero stati pensati e realizzati in nome di una superiorità di razza e di un odio contro un intero popolo.

Eppure vi sono oggi molti che ritengono lontane quelle tragedie, avvolgendole nella caligine della storia, mettendole in forse e tante volte negandole del tutto. Questi son i nemici più pericolosi, coloro che rinnegano ed oltraggiano la stessa memoria dei sopravvissuti e mettono il silenzio alle loro disperate testimonianze.

Abbiamo tutti il dovere di non dimenticare, perché solo così possiamo sperare di ritrovarci sempre uomini senza dare la colpa del male a un Dio distratto che si è voltato dall’altra parte.

Onoriamo tutti coloro che a quelle atrocità senza limiti sono sopravvissuti e che continuavano a rivivere nei loro incubi quella realtà, quasi incapaci di riprendere in mano una vita segnata per sempre dal MALE.

Rileggiamo insieme questa testimonianza di Primo Levi, per ricordare sempre e non solo in questa giornata.

Karl Robert Bodek (1905–1942) and Kurt Conrad Löw (1914–1980) – Art from the Holocaust https://www.yadvashem.org/yv/en/exhibitions/art/index.asp

Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
Tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
“Wstawac”;
E si spezzav
a in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
Il nostro ventre è sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
“Wstawac”.

La tregua
Giunsi a Torino il 19 di ottobre, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi, tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava.
Ero gonfio, barbuto e lacero, e stentai a farmi riconoscere. Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza del lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare. Ritrovai un letto largo e pulito, che a sera (attimo di terrore) cedette morbido sotto il mio peso.
Ma solo dopo molti mesi svanì in me l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo, come per cercarvi qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento.

È un sogno entro un altro sogno, vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al lavoro, o in una campagna verde: in un ambiente insomma placido e disteso, apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un’angoscia sottile e profonda, la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti, al procedere del sogno, a poco a poco o brutalmente, ogni volta in modo diverso, tutto cade e si disfa intorno a me, lo scenario, le pareti, le persone, e l’angoscia si fa più intensa e più precisa.

Tutto è ora volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la natura in fiore, la casa.

Ora questo sogno interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota; una sola parola, non imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell’alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa: alzarsi, “Wstawac”.

Torino, dicembre 1961 – novembre 1962

Primo Levi, La tregua, Einaudi, Torino, pp. 324 – 325